domenica 1 febbraio 2015

Amare


E' passato tanto tempo, e ha fatto così tanto freddo, che non ricordo più come si fa.

A lasciarsi andare.

mercoledì 23 luglio 2014

Poesia altrui

"Perché a volte, nei momenti più impensati, per strada, puoi sentire l'anima lacerarsi, catturata nella storia di qualcuno che ti è appena passato accanto. La maggior parte delle volte, però, quelle storie vengono sradicate e muoiono subito, senza che gli interessati si rendano conto di ciò che hanno perso. Rimane solo un leggero dolore che svanisce immediatamente, anche se in me a volte può durare ancora qualche ora, come se avessi avuto un piccolo aborto spirituale. E rimane una sorta di angoscia, la morte della storia".

"Penso sempre che un uomo nudo possa fendere la folla come un coltello. Tutti si ritrarrebbero da lui come da una malattia infettiva o da una ferita aperta. Immagina, gente senza alcun indumento. Allora non ci sarebbe più ragione di fingere, perché com'è possibile odiare una persona nuda? (Prova a combattere contro un soldato nudo)".


David Grossman, "Che tu sia per me il coltello"


mercoledì 16 ottobre 2013

Tre anni per una risposta

Esattamente tre anni fa, il 15 ottobre 2010, si concentrarono nello stesso giorno due episodi potenzialmente drammatici: fui licenziata dal mio primo vero lavoro ('sta maledetta crisi) nello stesso giorno -anzi, per l'esattezza nello stesso quarto d'ora- in cui scoprivo che il ragazzo per cui ero finita in Spagna aspettava un figlio (e non da me, ovvio). Lungi dal disperarmi, con molta tranquillità e anche un po' di sana incoscienza, la presi come un'occasione per svecchiarmi, per fare quel che veramente volevo, e mi riempii di fiducia nel futuro. Non senza provare una punta di malinconia per l'idea di non sapere a cosa avevo rinunciato facendo certe scelte di vita.

Tre anni dopo, giusto mentre ricordavo tra me e me l'anniversario di quel giorno e della mia riflessione, mi piomba nella posta un email con la frase di cui avevo bisogno per chiudere definitivamente la riflessione:

"Ogni scelta ha un rovescio, cioè una rinuncia, e così non c'è differenza tra l'atto di scegliere e quello di rinunciare" (Italo Calvino).

Voi credete alla giustizia poetica? Io sì, ed è per questo che racconto questo episodio. Qualunque sia la domanda, la risposta arriva sempre, irrimediabilmente. Magari tre anni dopo, magari per email, magari non sei capace di vederla. Ma magari sì lo sei. E allora è quando si illumina tutto.

mercoledì 12 settembre 2012

Sevilla

Y sólo el día que me fui
entendí por fin
que no había llegado allí
por nadie más
que por mí.

lunedì 20 febbraio 2012

Il senso dei viaggi



"Ciò che è fuori è anche dentro; e ciò che non è dentro non è da nessuna parte". "Per questo viaggiare non serve. Se uno non ha niente dentro, non troverà mai niente fuori. E' inutile andare a cercare nel mondo quel che non si riesce a trovare dentro di sé".


Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra

domenica 1 gennaio 2012

Quattro cose che ho imparato da questo 2011

1- Che quello che non si dice esiste lo stesso. Da studiosa della comunicazione, ho sempre difeso che il non detto semplicemente non esiste (parlavo a livello di arena mediatica). Ma non è così, quello che non si dice esiste eccome e, come dice il filosofo spagnolo Ortega y Gasset, "ogni realtà che si ignora prepara la sua vendetta", e prima o poi esce fuori.

2- Che le persone rispondono agli incentivi. Il vero altruismo -salvo rare eccezioni- non esiste, bisogna dare qualcosa in cambio. La ricompensa può anche essere solo il benessere personale, il piacere di aver aiutato, ma c'è. E quando la ricompensa che si può dare a chi ci aiuta non è quella che quest'ultimo si aspetta, quasi sicuramente smetterà di aiutare.

3- Che a volte è importante fermarsi a riflettere per un po', ma poi bisogna rimettersi in marcia. Non smettere mai di muoversi, anche quando apparentemente siamo fermi. Non smettere di azzardare.

4- Che non c'è nessuna situazione, per quanto disperata, da cui non si possa uscire. Possiamo non vedere la soluzione a prima vista, ma c'è. Basta aprire un po' gli orizzonti. E' come quando guardi un quadro da troppo vicino. Si vede tutto sfocato, non si distinguono bene i colori né le forme. Devi allontanarti qualche centimetro per vedere bene, per poterlo apprezzare. Con i problemi è lo stesso. Basta guardarli da un po' più lontano, per vedere il complesso ed intuire la soluzione. E senza allontanarsi troppo.


Foto di Antonio Ruiz

lunedì 26 dicembre 2011

.

Il dolore è sordo, il dolore è muto. Il dolore è sordomuto. Sordo perché ascolta solo se stesso, muto perché non ci sono parole che possano parlarne.


L'assenza dell'assenzio (Andrea G. Pincketts)

sabato 29 ottobre 2011

Promemoria #2 (pillole di disperato ottimismo)

Tú eres el resultado de ti mismo

No culpes a nadie, nunca te quejes de nada ni de nadie, porque fundamentalmente tú has hecho tu vida.

Acepta la responsabilidad de edificarte a ti mismo y el valor de acusarte en el fracaso para volver a empezar; corrigiéndote, el triunfo del verdadero hombre surge de las cenizas del error.

Nunca te quejes del ambiente o de los que te rodean, hay quienes en tu mismo ambiente supieron vencer, las circunstancias son buenas o malas según la voluntad o fortaleza de tu corazón.

Aprende a convertir toda situación difícil en un arma para luchar.

No te quejes de tu pobreza, de tu soledad o de tu suerte, enfrenta con valor y acepta que de una u otra manera, todo dependerá de ti; no te amargues con tu propio fracaso, ni se lo cargues a otro, acéptate ahora o seguirás justificándote como un niño, recuerda que cualquier momento es bueno para comenzar y que ninguno es tan terrible para claudicar.

Deja ya de engañarte, eres la causa de ti mismo, de tu necesidad, de tu dolor, de tu fracaso.

Si, tú has sido el ignorante, el irresponsable, tú, únicamente tú, nadie pudo haber sido por ti.

No olvides que la causa de tu presente es tu pasado, como la causa de tu futuro es tu presente.

Aprende de los fuertes de los audaces, imita a los enérgicos, a los vencedores, a quienes no aceptan situaciones, a quienes vencieron a pesar de todo.

Piensa menos en tus problemas y más en tu trabajo y tus problemas sin alimento morirán.

Aprende a nacer desde el dolor y a ser más grande, que el más grande de los obstáculos.

Mírate en el espejo de ti mismo.

Comienza a ser sincero contigo mismo. Reconociéndote por tu valor, por tu voluntad y por tu debilidad para justificarte.

Reconócete dentro de ti mismo, más libre y fuerte, dejarás de ser un títere de las circunstancias, porque tu mismo eres tu destino.

Y nadie puede sustituirte en la construcción de tu destino.

Levántate mira las mañanas y respira la luz del amanecer.

Tú eres parte de la fuerza de la vida

Ahora despierta, camina, lucha.

Decídete y triunfarás en la vida.

Nunca pienses en la suerte, porque la suerte es el pretexto de los fracasados.

Pablo Neruda

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Tu sei il risultato di te stesso

Non dare la colpa a nessuno, non lamentarti di niente né di nessuno, perché fondamentalmente tu hai fatto la tua vita.

Accetta la responsabilità di costruire te stesso e il valore d’incolparti nel fallimento per ricominciare da capo; correggendoti, il trionfo del vero uomo sorge dalle ceneri dell’errore.

Non lamentarti mai dell’ambiente o di quelli che ti circondano, ci sono quelli che nel tuo stesso ambiente hanno saputo vincere, le circostanze sono buone o cattive a seconda della volontà o forza del tuo cuore.

Impara a convertire tutte le situazioni difficili in un’arma per lottare.

Non lamentarti della tua povertà, della tua solitudine o del tuo destino, affronta con valore ed accetta che in un modo o nell’altro, dipenderà tutto da te; non amareggiarti con il tuo proprio fallimento, e non addebitarlo a qualcun altro. Accettati adesso o continuerai a giustificarti come un bambino. Ricorda che qualunque momento è buono per cominciare e che nessuno è tanto terribile per zoppicare.

Smetti di ingannarti, sei la causa di te stesso, della tua necessità, del tuo dolore, del tuo fallimento.

Si, tu sei stato l’ignorante, il responsabile, tu, solo tu, non è potuto essere nessuno al posto tuo.

Non dimenticarti che la causa del tuo presente è il tuo passato, come la causa del tuo futuro è il tuo presente.

Impara dai forti e dagli audaci, imita gli energici, i vincitori e coloro che non accettano le situazioni e coloro che hanno vinto nonostante tutto.

Pensa meno ai tuoi problemi e di più al tuo lavoro, e i tuoi problemi senza respiro moriranno.

Impara a nascere dal dolore e ad essere più grande del più grande degli ostacoli.

Guardati nello specchio di te stesso.

Inizia ad essere sincero con te stesso. Riconoscendoti per il tuo valore, per la tua volontà e per la tua debolezza di giustificarti.

Roconosciti dentro te stesso, più libero e forte, smetterai di essere una marionetta delle circostanze, perché tu stesso sei il tuo destino.

Alzati, guarda le mattine e respira la luce dell’alba.

Tu fai parte della forza della vita.

Adesso svegliati, cammina, lotta.

Deciditi e trionferai nella vita.

Non pensare mai alla fortuna, perché la fortuna è il pretesto dei falliti.

Pablo Neruda

venerdì 21 ottobre 2011

Los lunes al sol

C'è la convinzione -totalmente erronea- che ad essere disoccupati è come se fosse sempre domenica. In fondo non hai niente da fare, ti puoi alzare quando vuoi, puoi uscire, passeggiare, andare a correre, leggere tutto il giorno... Insomma, fare tutto quello che vuoi, senza orari da rispettare, senza stress, senza fretta, senza capi. Tu e il tuo tempo. Con il vantaggio di avere tutti i negozi aperti.

Assolutamente sbagliato. E' come se fosse sempre lunedì. Una serie infinita, atroce e massacrante di lunedì.

Perché sai che non avrai riposo finché non avrai compiuto il tuo dovere. E se quando lavori, è arrivare al venerdì, quando sei disoccupato, è trovare un lavoro. Per cui, il riposo non arriva mai.

Perché ogni giorno è un iniziare tutto da capo. Non riprendi ciò che hai lasciato il giorno prima. Se i giorni precedenti non hanno dato risultati, inizi di nuovo la ricerca. Con tutto il peso che ogni nuovo inizio comporta (e aggiungici il peso dei fallimenti precedenti).

Perché hai la continua sensazione di non aver fatto abbastanza, di non aver cercato bene, di poter fare di più. E con questo pensiero in testa, continui solitaria davanti al tuo computer a guardare pagine web, leggere consigli per trovare il lavoro perfetto, a cercare di scovare formule magiche, e non ti accorgi più dell'ora né del giorno in cui sei.

E se dovesse capitarti, come a me, di uscire trafelata un venerdì pomeriggio a fare una commissione, pronta a tornare subito a casa a continuare la ricerca, e dovessi chiederti stranita che ci fa tanta gente in giro (per poi pensare: "che stupida, per loro è normale, è venerdì!"), allora capirai anche tu come vive un disoccupato medio. In un lunedì eterno che non distingue stagioni e non sente ragioni.




"Che giorno è oggi?"
"Lunedì"

(dal film "Los lunes al sol", di Fernando León de Aranoa).

lunedì 17 ottobre 2011

The Big Bang Theory, l'elasticità and me

La Wikipedia definisce così il concetto fisico di elasticità: “l’elasticità è la proprietà di un materiale di deformarsi sotto l'azione di uno stato di sollecitazione imposto (per esempio, a causa di forze esterne applicate) ma di riacquistare poi la sua forma originale al venir meno della causa sollecitante. L'elasticità riguarda sia i materiali solidi che i fluidi.

A partire dalla configurazione naturale di riposo, l'elasticità rappresenta solo la fase iniziale del comportamento di un materiale, per un valore limitato del livello di sollecitazione. Ogni materiale presenta infatti una soglia di sollecitazioni, detta limite di elasticità, al di sopra della quale cessa di esibire un comportamento elastico e manifesta fenomeni anelastici (plasticità, rottura, ecc.). Nel caso dei materiali duttili, il limite elastico è associato alla tensione di snervamento, nel caso di materiali fragili, il limite elastico è associato alla rottura del materiale”.

Non so perché non mi piacesse la fisica al liceo, contiene grandissime verità! Cerchiamo di vedere se e come si può applicare questo concetto alle persone (un po’ stile The Big Bang Theory).



L’elasticità è la proprietà di un materiale una persona di deformarsi piegarsi sotto l'azione di uno stato di sollecitazione pressione imposto (per esempio, a causa di forze esterne applicate, come l’amore [nda]) ma di riacquistare poi la sua forma originale al venir meno della causa sollecitante dell’amore stesso. L'elasticità riguarda sia i materiali solidi che i fluidi uomini che donne.

A partire dalla configurazione naturale di riposo singlitudine, l'elasticità rappresenta solo la fase iniziale del comportamento di un materiale una persona, per un valore limitato del livello di sollecitazione pressione. Ogni materiale persona presenta infatti una soglia di sollecitazioni pressioni, detta limite di elasticità, al di sopra della quale cessa di esibire un comportamento elastico piegarsi e manifesta fenomeni anelastici una certa rigidità (plasticità, rottura, ecc. rinsavimento,sano esercizio della libertà). Nel caso dei materiali delle persone duttili, il limite elastico è associato alla tensione di snervamento, nel caso di materiali persone fragili, il limite elastico è associato alla rottura del materiale.

Da tutto ciò deduco che sono un materiale duttile (in fondo l’avevo sempre saputo) che è arrivato al limite della tensione di snervamento.

Anche se era scritto nelle leggi della fisica... mi dispiace.

giovedì 4 agosto 2011

Por todos los silencios del mundo

SAUDADE

Agarrarse el dedo con una puerta duele.
Golpearse la cara contra el piso, duele.
Torcerse el tobillo, duele.
Una bofetada, un puntapié, duelen.
Duele golpearse la cabeza con el borde de la mesa,
duele morderse la lengua, una carie y piedras en los riñones también duelen.

Pero lo que más duele es la saudade.
Saudade de un hermano que vive lejos.
Saudade de una cascada de la infancia.
Saudade del gusto de una fruta que no se encuentra más.
Saudade del papá que murió, del amigo imaginario que nunca existió...

Saudade de una ciudad.
Saudade de nosotros mismos, cuando vemos que el tiempo no nos perdona. Duelen todas estas saudades.

Pero la saudade que más duele es la saudade de quien se ama.
Saudade de la piel, del olor, de los besos. Saudade de la presencia, y hasta de la ausencia consentida.
Tú podías quedarte en la sala, y ella en el cuarto, sin verse, pero sabiéndose ahí.
Tú podías ir para el dentista y ella para la facultad, pero se sabían allí.
Tú podías pasar el día sin verla, ella el día sin verte, pero sabían del día de mañana.
Pero cuando el amor de uno acaba, o se torna menor, al otro le sobra una saudade que nadie sabe como detener.
Saudade es básicamente no saber. No saber más si ella continúa sufriendo en ambientes fríos.
No saber si él continúa sin afeitarse por causa de aquella alergia.
No saber si ella todavía usa aquella mini.
No saber si él fue a la consulta con el médico como prometió.
No saber si ella se alimentó bien últimamente por causa de esa manía de estar siempre ocupada.
Si él estuvo yendo a las clases de inglés, si aprendió a entrar en la Internet y encontrar la página del Diario Oficial.
Si ella aprendió a estacionar entre dos coches.
Si él continúa prefiriendo la cerveza oscura. Si ella continúa prefiriendo jugo de naranja.
Si él continua sonriendo con aquellos ojitos apretados...
Si ella sigue bailando de aquella forma enloquecedora... Si él continua cantando tan bien.
Si ella continua detestando Mc Donald's.
Si él continua amando. Si ella sigue llorando hasta en las comidas. Saudade realmente es no saber!

No saber que hacer con los días que son más largos, no saber como encontrar tareas que detengan el pensamiento,
no saber como frenar las lágrimas al escuchar esa música, no saber como vencer el dolor de un silencio...

Saudade es no querer saber si ella está con otro, y al mismo tiempo querer. Es no saber si él está feliz, y al mismo tiempo preguntar a todos los amigos por eso...

Es no querer saber si él está más flaco, si ella está más linda.
Saudade es nunca más saber de quien se ama, y mismo así doler.

Saudade es esto que sentí mientras estaba escribiendo y lo que tú, probablemente, estés sintiendo ahora después de leer...
"En alguna otra vida, debemos haber hecho algo muy grave para sentir tanta saudade...".

Por Miguel Falabella

sabato 25 giugno 2011

Di fantasmi e ingiustizie

Essere vittima di una comparazione non piace a nessuno. Ma attenzione: non tutte le comparazioni sono uguali. Incredibilmente, alcune sono più rompine di altre.

Immagina di essere uno dei termini di paragone, ovviamente contro la tua volontà. Ora, immagina che l'altro termine sia un fantasma, una figura mistificata sottratta ad un passato miticizzato e atemporale. Qual è il risultato? Te lo dico io: una battaglia persa. E tanta amarezza.

Nella mia storia personale recente, è la moda di questa primavera-estate, a quanto pare. C'è chi ti compara con il fantasma della persona che sei stata. E poi c'è chi che ti mette in competizione con il fantasma di qualcun altro, qualcuno del suo passato.

In entrambi i casi, è un'ingiustizia: non è una lotta ad armi pari. Il fantasma -che sia il fantasma di te o quello di un'altra persona- finisce per vincere sempre. Perché del passato ricordiamo solo la parte migliore: chi si ricorda più dei litigi, dei difetti, delle penurie, degli errori, delle lacune?

Contro un fantasma del passato non puoi fare niente: sarà sempre più di te. Puoi smuovere montagne, essere candidata al premio Nobel per la Pazienza, vincere il premio di crocerossina dell'anno o essere la reincarnazione di Buddha, e la persona che hai di fianco non lo vedrà.

Per tanto, a queste persone, dico lo stesso: che cosa li può aiutare? Oltre a un bell'arrivederci da parte della sottoscritta, consiglio loro che il passato possa restare come passato, onorato dal nostro sguardo benevolo e con il pieno rispetto per quello che si è vissuto, per come si è vissuto e per quelli che l'hanno vissuto.

E non guasterebbe che guardassero al presente con un pizzico di allegria e -soprattutto- molta gratitudine.

Quanto sono Buddha oggi.

sabato 28 maggio 2011

Moving on

Vestiti, scarpe, asciugamani, computer, poster, fotografie, coperte, lenzuola, padelle, cd, film, libri. Un travestimento di carnevale che ti fa scappare un sorriso e una lacrima. Regali che non ricordavi più di aver ricevuto.

Oggetti di ogni tipo che non sanno fare altro che ricordarti la tua insopportabile sindrome di Diogene (perché mai non potrò evitare di accumulare cose su cose?)... ma che d'altro canto ti catapultano negli ultimi cinque anni della tua vita, nelle persone che l'hanno popolata, nelle esperienze vissute.

Questo è un trasloco. E io odio i traslochi. Non solo perché ti obbligano a disfarti di cose che non hai usato per anni e che -sicuramente- ti serviranno non appena ti trasferirai nella casa nuova (la legge di Murphy non sbaglia mai), ma soprattutto perché ti costringono a guardare indietro, a guardarti dentro e a fare i conti con la nostalgia.


Ciononostante, preferisco pensare alla parte positiva, e guardare il tutto come un nuovo inizio. Era così tanto tempo che mi ero 'accomodata' in questa casa e in questo modo di vita che ricominciare tutto da capo sarà una vera e propria scoperta.
Come vedere il mare per la prima volta.

giovedì 5 maggio 2011

PROMEMORIA

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza.

Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano.

Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

A. Gramsci

mercoledì 13 aprile 2011

Punti di vista


Non ho fallito. Ho solamente tovato 10.000 modi che non hanno funzionato.
Thomas Edison.


martedì 8 marzo 2011

Buona festa della donna


"Quando ho detto che non volevo avere figli, mi hanno dato addosso...".
"E quando ho detto che ne avrei avuto uno mi hanno licenziata dal lavoro".

E mi chiedono ancora perché ho la crisi dei 30 anni.
Buona festa della donna.
E buon compleanno a me.

lunedì 7 marzo 2011

Poesia dei non luoghi

“Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale né storico definirà un non luogo".

Stazioni, aeroporti, o centri commerciali: secondo l’antropologo Marc Augé, sono non-luoghi per eccellenza.

I non luoghi si oppongono per natura ai luoghi antropologici (una piazza, una strada storica, un parco…): spazi che creano identità per la popolazione, che favoriscono e rappresentano materialmente le relazioni tra gli individui che vi abitano, e che conservano la memoria collettiva degli eventi passati.

Le stazioni o gli aeroporti non hanno niente di tutto ciò. Non creano identità per le persone che li frequentano (sono, di fatto, luoghi di passaggio e nulla di più); non rappresentano né favoriscono le relazioni umane (a nessuno viene in mente di trovare nuovi amici in stazione); e infine non rappresentano la memoria collettiva di nulla. Sono, in definitiva, solo zone di passaggio, di saluti affrettati, di solitudine sfrenata nonostante la folla, di isolamento: non luoghi.

Eppure, nei non-luoghi come stazioni o aeroporti crepita ogni giorno la vita di migliaia di persone, vi bruciano momenti cruciali: addii, rincontri, relazioni, inizi. Se penso a noi, faccio fatica a considerare una stazione un non luogo.

Ma forse Augé ha ragione, perché ieri, agli occhi di chi passava anche solo a pochi metri da noi, probabilmente non eravamo altro che un’immagine come un’altra, senza storia e senza suono. Ma io so che si sbagliavano.

giovedì 3 marzo 2011

La descrizione di un attimo

PROLOGO

Non ci conosciamo personalmente, ma non ce n'è bisogno: sappiamo perfettamente chi siamo. Lei, l'attuale: alta, bionda, americana (con tutto quel che comporta), madre. Io, la ex: bassina, di un comunissimo castano, italiana (con tutto quel che comporta), con l'istinto materno atrofiado.

ATTO I

SCENA: UFFICIO DI COLLOCAMENTO (di 'sti tempi non potevo immaginare scenario più azzeccato...).

Ci incontriamo per caso. Entrambe stacchiamo il biglietto per prenotare il nostro rispettivo turno. Ci guardiamo, ci scrutiamo, ci riconosciamo, senza salutarci (ufficialmente non ci siamo mai presentate, e noblesse oblige). Ma non ce n'è bisogno. Lei porta con sé una carrozzina. Dentro, un batuffolo di bimba, di un mese appena. E' seppellita sotto le copertine, non le si vede il viso.

ATTO II

SCENA: SEMPRE UFFICIO DI COLLOCAMENTO

Mossa da una sincera curiosità, cerco di allungare il collo per vedere la bimba. La figlia del mio ex.

Lei se ne accorge, e con un movimento lento e generoso, sposta volontariamente le coperte, come per per accontentare la mia curiosità: la bimba, ovviamente, è bellissima.

Ci guardiamo con complicità, la ringrazio con lo sguardo.

Improvvisamente chiamano il mio numero. E' il mio turno. Quando finisco, madre e figlia non ci sono più.

ATTO III

SCENA: LA STRADA.

Esco da quell'ufficio contenta del momento condiviso in silenzio con una semi-sconosciuta. Il sole che mi illumina il viso mi ricorda che è quasi primavera, ovvero che è quasi il mio compleanno: 30 anni. Ma il cambio di prefisso quasi non mi spaventa più.

EPILOGO

Cammino tranquilla, baciata dal sole. E convinta che anch'io un giorno avrò il mio pancione, anch'io avrò il mio bebè. E no, non sarà come una favola scritta male.


lunedì 7 febbraio 2011

Filosofia della quotidianità

L'appendiabiti -marca Lidl- che è nel mio armadio mi fa alterare come pochi ci sono riusciti nell'arco della mia vita.

Tra alti e bassi, durava ormai da tre anni, da quando sono venuta ad abitare nella mia attuale dimora. La nostra è stata una storia tormentata e stupenda allo stesso tempo: a volte gliela lasciavo vincere, fingendo che non mi importasse la sua odiosa mania di pendere su un lato, facendo toccare la metà dei vestiti a terra; altre volte mi accontentava lui, per qualche strana ragione si decideva a non far saltare gli arzigogolati meccanismi che mi inventavo per mantenerlo dritto, e per qualche tempo smetteva di pendere.

Forse intuiva che la mia pazienza stava per arrivare al limite, e per non essere buttato via si degnava di compiere la sua funzione. O forse era semplicemente un caso che funzionasse.

Però a un certo punto sembrava non avere nessuna importanza quel che mi inventavo per farlo stare bene in piedi, o quanto mi impegnassi, o quanto gli parlassi (sì, non si scarta nessuna tecnica). Sembrava aver deciso che pendere era il suo cammino. E non c'era niente che reggesse: non funzionavano più i bastoncini, non funzionava lo spago, non funzionava più il nastro adesivo... insomma, nada de nada.

Davanti all'evidenza dei fatti, e dopo innumerevoli tentativi, finalmente sono arrivata al punto di rottura (menomale che esiste sempre) e ho deciso di lasciarlo pendere. Rimarrà nel mio armadio (anche se è del Lidl, mi ci sono affezionata), ma non cercherò più di aggiustarlo.

E lo faccio con il cuore tranquillo, perché so di aver fatto tutto il possibile perché funzionasse, ma con l'amara constatazione che alla vita manca sempre qualcosa per essere perfetta.

venerdì 24 dicembre 2010

Norbert

La mayoría de la gente se casa, tiene hijos, los hijos tienen hijos a su vez. Es lo normal.
Trabajan todo el día, acumulan dos estúpidas semanas de vacaciones al año, se llenan la vida de cosas y más cosas para tapar a los ojos de los demás el terrible vacío interior que padecen, y de vez en cuando se escapan un fin de semana de la ciudad para deleitarse en la ilusión de que no están podridos en el gris de un trabajo que no aman y que les desgasta.

Es increíble la cantidad de cosas de las que llenamos nuestro tiempo sólo para darnos la sensación de existir.

Pero allí estaba él. Nunca se casó, anti-móvil, una vida donada a la cooperación, su pasión. Un solitario, se podría pensar. “Si no tienes una familia no eres nadie”, me parece oírla, mi madre. Pero aquel solitario tuvo una familia más grande y más sincera que la de cualquier otro, tuvo una vida más llena que la de cualquier otra persona que haya elegido la vía ‘normal’: decenas de viajes, manifestaciones, gestos solidarios, miradas, amigos por todo el mundo, compeñeros de una sola cerveza o de una vida entera de charlas de barra. Y la sonrisa, siempre.

Nunca quiso ser convencional, ni hacerle concesiones a la sociedad, ¿cómo iba a hacerlo con la muerte? Si no podía vivir como él quería, al carajo todo.

Y parece que ganó también esa partida. Hace un año. Hace nada.

martedì 14 dicembre 2010

Un anno dopo

"Aveva conosciuto la sua incapacità d'amore nell'enigma della palma delle sue mani mute e nelle cifre invisibili dei tarocchi e aveva cercato di compensare quel destino infame col culto bruciante del vizio solitario del potere, si era fatto vittima della sua setta per immolarsi nelle fiamme di quell'olocausto infinito, si era pasciuto della fallacia e del delitto, aveva progredito nell'empietà e nell'obbrobrio, e aveva dominato la sua avarizia febbrile e il suo terrore congenito solo per poter conservare fino alla fine dei tempi la sua pallina di vetro nel pugno, senza sapere che era un vizio senza fine la cui sazietà generava il suo stesso appetito fino alla fine di tutti i tempi signor generale, aveva saputo fin dalle sue origini che lo ingannavano per compiacerlo, che si facevano pagare per adularlo, che reclutavano con la forza delle armi le moltitudini concentrate al suo passaggio con grida di giubilo e con cartelli venali di vita eterna al magnifico che è più antico della sua età, ma imparò a vivere con quelle e tutte le miserie della gloria man mano che scopriva col passare dei suoi anni incalcolabili che la menzogna è più comoda del dubbio, più utile dell'amore, più durevole della verità, era giunto senza sorpresa alla finzione d'ignominia di comandare senza potere, di essere esaltato senza gloria e di essere ubbidito senza autorità, quando si convinse nel rivolo di foglie gialle del suo autunno che non sarebbe mai stato padrone di tutto il suo potere".

Un anno fa pensai -stupidamente e romanticamente- che questo passo de "L'autunno del patriarca" di García Márquez descriveva alla perfezione l'autunno politico di Silvio Berlusconi.

Era il 13 dicembre 2009 e Silvio, dopo mesi di scandali e infimi livelli di consenso, era assalito da un comune cittadino -un pazzo, dissero- dopo un comizio a Milano. Pensai che era vicina la fine del suo regime di puttane e giullari, e che tra uno scandalo sessuale e l'altro, era stato necessario approfittare televisivamente di un colpo d'effetto, come il gesto plateale di Massimo Tartaglia. Pensai che già non controllava più tutto il potere che aveva accumulato, e che presto sarebbe caduto, vittima dei suoi stessi eccessi, politici e personali. Mi sbagliavo.

Esattamente un anno e un giorno dopo (oggi), sembrava di nuovo che ci stessimo per liberare di lui, e invece il governo di Silvio Berlusconi ottiene la fiducia del Parlamento per soli tre voti, comprati a chissà quale prezzo.

Non voglio nemmeno immaginare la faccia di Tartaglia oggi, vedendo non solo che nel primo anniversario del suo gesto nessun giornale ha parlato di lui (tranquillo Massi, io me ne sono ricordata), ma che addirittura, esattamente un anno dopo Silvio ha beffato tutti e ha vinto di nuovo (ironia della sorte, Massi, che vuoi che ti dica!).

Approfittando della coincidenza della data, mio caro, non mi resta che consolarti ricordandoti che in Italia "cambia tutto per non cambiare niente" (come insegna il Gattopardo). Anche se Silvio avesse perso oggi, l'anno prossimo avresti voluto lanciare lo stesso souvenir a Fini.

Ad maiora (sigh!).


giovedì 9 dicembre 2010

Il lato B dell'eterno ritorno

Eterno ritorno. Eterno tormento? Non sempre e non necessariamente.

Alcune persone sono solite preoccuparsi di cose di cui si vorrebbero liberare, ma che continuano a perseguitarle e a ripresentarsi, sotto forme diverse, in modo ricorrente.

Poi però ci sono cose, eventi, o persone, che pensavi fossero rimaste nel passato, legate a un periodo della tua vita, e che invece ritornano, quando meno te l'aspetti, o quando più ne hai bisogno, e con una disarmante semplicità si ripresentano a te... e in qualche modo ti cambiano.

Forse perché ti ricordano, con la loro sola presenza, quello che eri tempo fa, e senza volere ti riconsegnano una parte di te che avevi perso. Così, perché sì. O forse perché le riscopri.

E allora non mi sembra così male l'eterno ritorno. Perché tra tutto quello che non avresti voluto rivedere, ma che le onde si ostinano a riportare alla riva, a volte ci sono anche persone che, invece, non avresti voluto perdere.

sabato 4 dicembre 2010

Poetica dell'ultimo minuto



"Ogni tanto mi chiedo cosa mai stiamo aspettando".

Silenzio.

"Che sia troppo tardi, madame".

mercoledì 27 ottobre 2010

Il problema del pensiero mainstreaming


Se camminiamo tutti nella stessa direzione, come sapremo che non ce n'è un'altra?
...
(ecco perché ho un debole per le cause perse)

domenica 17 ottobre 2010

Il prezzo delle scelte

Quante volte ti sei trovata davanti a un bivio? Dovendo decidere da sola che strada prendere, che opzione sarà la migliore? Quante volte hai dubitato, ti sei fermata, hai chiesto aiuto alla vocina interiore, senza sentire una risposta, e alla fine hai scelto ad occhi chiusi, senza ragionarci su, solo seguendo l'intuizione?

E quante volte ti sei ritrovata a fare i conti con la vita, anni dopo quel bivio, e hai concluso che in fondo, sì, decisamente avevi preso la strada giusta, sei contenta di come siano andate le cose, rifaresti tutto, ecc. ecc. ecc.?

Così è come mi sento in questo momento: 4 anni fa presi -un po' alla leggera- la decisione di andare via dall'Italia, un po' per lavoro, un po' per amore (o quello che pensavo fosse amore). L'amore mi durò pochissimo, il lavoro mi è durato quattro anni, fino all'altro ieri.

Venerdì 15 ottobre 2010. Una data cruciale: nello stesso giorno sono rimasta senza lavoro ('sta benedetta crisi) e ho scoperto che quell'ex per cui avevo attraversato la frontiera sta per diventare padre. Forse è stata una coincidenza, forse no. Sarebbe potuta essere una tragedia greca, eppure non lo è stata. Per lui mi sono profondamente rallegrata: in fondo quel giorno presi la decisione giusta, permettendogli di trovare una persona più adatta a lui di quanto lo fossi io. Quanto a me, la nuova condizione di disoccupata non è una mia scelta, ma è un'occasione per dare un giro di 180 gradi alla mia vita (so quel che state pensando: "Ma non erano 360 gradi?". No! 360 gradi no, che se no torni al punto di partenza!!).

Insomma, nonostante la tormenta di notizie scioccanti che avrebbe tramortito chiunque, sono stranamente tranquilla. Venerdì si è semplicemente chiusa un'epoca. Tutto qui.

C'è solo una piccola spina che ogni tanto punge, e che non andrà mai via, lo so io e lo sai tu (che la decisione sia quella di andare, tornare, restare o lasciare): non saprai mai come sarebbe andata se al bivio avessi preso l'altro cammino.

Ma è una spina con la quale in fondo, nonostante tutto, impari a convivere. Perché è il prezzo da pagare per chi, almeno, una decisione la prende.

mercoledì 6 ottobre 2010

be(LIE)ve

Regola numero 1. House docet: tutti mentono. Persino Biancaneve.

Regola numero 2. Per mentire bene devi avere un'ottima fantasia e di una memoria di ferro.

Regola numero 3. Se non hai i requisiti del punto 2, spera che il tuo interlocutore sia estremamente stupido.

Regola numero 4. Se non hai i requisiti del punto 2 e il tuo interlocutore non è stupido, ma tu ti continui a comportare come se lo fosse, rassegnati all'evidenza: hai perso un'occasione per tacere e pure una persona.

... Ti restano sempre due consolazioni: non sei un animale (a quanto pare mentire è un'esclusiva degli esseri umani) e ci sono molti più stupidi di quanto immagini. Non è mica poco.



giovedì 16 settembre 2010

Schopenhauer, l'ottimismo e mio padre

Una volta, tempo fa, in uno di quei momenti un po' bui che ogni tanto capitano a tutti, mi sono ritrovata a discutere di ottimismo e pessimismo con una delle mie persone preferite al mondo: mio padre.

Io gli esponevo la mia teoria, che più o meno era questa: quando stai aspettando che succeda qualcosa nella tua vita in cui speri tantissimo, ma che non dipende direttamente da te, è meglio essere pessimisti, perché se poi quella cosa non arriva, almeno eri già preparato al peggio e non ne rimani tanto deluso, e se arriva tanto meglio. Il modello mi sembrava che non facesse una piega.

Invece mio padre, la cui abilità nel rigirare le mie teorie è comparabile solo alla sua pazienza, mi dice: "Sbagli, mia cara, conviene di più essere ottimisti. Immagina di dividere il tempo x in due metà (il prima e il dopo l'arrivo della notizia tanto attesa). Essendo ottimista, se alla fine la cosa va bene, stai bene due volte (prima e dopo l'arrivo della notizia), e se va male, almeno stai male solo nella seconda metà del tempo x considerato".

Insomma, in un'ipotetica economia emotiva, il mio modello era un disastro. E anche se in generale continuavo (e continuo) a pensare che un pessimista è solo un ottimista ben informato, c'era da riconoscere che nell'universo del caso limitato di cui discutevamo, non c'era modo di controbattere cotanta logica. E quel giorno finii per dargli ragione. Come sempre.

Poi, qualche giorno fa, molto tempo dopo quella conversazione, mi è capitato per caso di leggere un aneddoto su Schopenhauer, il re del pessimismo metafisico, che al liceo adoravo e odiavo allo stesso tempo. Risulta che mentre il filosofo faceva una passeggiata con amici per la cordigliera del Taunus, in Germania, un uccello non si seppe trattenere e finì per macchiare la candida giacca bianca di uno dei suoi compagni di passeggiata. "Lo vede?", dice il pessimista Schopenhauer, "Ho ragione con la mia teoria, viviamo nel peggiore dei mondi possibili!". "Al contrario", gli risponde l'altro, "Immagini se fossero le vacche a volare!".

E in quel momento, sorridendo in silenzio, non ho potuto non pensare a mio padre. Perchè anche lui risponderebbe sicuramente qualcosa così.

giovedì 9 settembre 2010

Rinascere

Inciampare, cadere, precipitare, sprofondare nelle viscere di quel che è stato, e scavare e perforare per tornare ossessivamente più e più volte all'inferno che ha generato il tutto, ripetutamente, insistentemente. A cercare risposte, a provare a discernere, a scomporre e ricomporre eventi, luoghi, frasi e persone. Disperatamente, come se non ne avessi mai abbastanza, come se non ci fosse mai una risposta soddisfacente. E tornare a inciampare, a cadere, a precipitare, a cercare. Una volta, un'altra, e un'altra ancora.

Per poi scoprire alla fine che non esistono risposte, ma che tornare e ritornare in modo assillante era necessario, e che era indispensabile morire ogni volta, a ogni giro, ossessivamente. Solo per poter vedere finalmente oltre l'inferno, e scoprire i colori che si celavano dietro.

Colori fatti dell'essenza stessa di te, colori che hai generato solo tu, e che solo tu puoi continuare ad alimentare.

E, finalmente, rinascere. Per l'ennesima volta. Nell'unico modo in cui si rinasce davvero.
Da sola.


venerdì 27 agosto 2010

Incroci e (s)croci

Mirar el río hecho de tiempo y agua
y recordar que el tiempo es otro río,
saber que nos perdemos como el río
y que los rostros pasan como el agua.

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Guardare il fiume fatto di tempo e acqua
e ricordare che il tempo è un altro fiume,
sapere che ci perdiamo come il fiume
e che i visi passano come l'acqua.

Arte poética, Jorge Luis Borges