martedì 8 marzo 2011

Buona festa della donna


"Quando ho detto che non volevo avere figli, mi hanno dato addosso...".
"E quando ho detto che ne avrei avuto uno mi hanno licenziata dal lavoro".

E mi chiedono ancora perché ho la crisi dei 30 anni.
Buona festa della donna.
E buon compleanno a me.

lunedì 7 marzo 2011

Poesia dei non luoghi

“Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale né storico definirà un non luogo".

Stazioni, aeroporti, o centri commerciali: secondo l’antropologo Marc Augé, sono non-luoghi per eccellenza.

I non luoghi si oppongono per natura ai luoghi antropologici (una piazza, una strada storica, un parco…): spazi che creano identità per la popolazione, che favoriscono e rappresentano materialmente le relazioni tra gli individui che vi abitano, e che conservano la memoria collettiva degli eventi passati.

Le stazioni o gli aeroporti non hanno niente di tutto ciò. Non creano identità per le persone che li frequentano (sono, di fatto, luoghi di passaggio e nulla di più); non rappresentano né favoriscono le relazioni umane (a nessuno viene in mente di trovare nuovi amici in stazione); e infine non rappresentano la memoria collettiva di nulla. Sono, in definitiva, solo zone di passaggio, di saluti affrettati, di solitudine sfrenata nonostante la folla, di isolamento: non luoghi.

Eppure, nei non-luoghi come stazioni o aeroporti crepita ogni giorno la vita di migliaia di persone, vi bruciano momenti cruciali: addii, rincontri, relazioni, inizi. Se penso a noi, faccio fatica a considerare una stazione un non luogo.

Ma forse Augé ha ragione, perché ieri, agli occhi di chi passava anche solo a pochi metri da noi, probabilmente non eravamo altro che un’immagine come un’altra, senza storia e senza suono. Ma io so che si sbagliavano.

giovedì 3 marzo 2011

La descrizione di un attimo

PROLOGO

Non ci conosciamo personalmente, ma non ce n'è bisogno: sappiamo perfettamente chi siamo. Lei, l'attuale: alta, bionda, americana (con tutto quel che comporta), madre. Io, la ex: bassina, di un comunissimo castano, italiana (con tutto quel che comporta), con l'istinto materno atrofiado.

ATTO I

SCENA: UFFICIO DI COLLOCAMENTO (di 'sti tempi non potevo immaginare scenario più azzeccato...).

Ci incontriamo per caso. Entrambe stacchiamo il biglietto per prenotare il nostro rispettivo turno. Ci guardiamo, ci scrutiamo, ci riconosciamo, senza salutarci (ufficialmente non ci siamo mai presentate, e noblesse oblige). Ma non ce n'è bisogno. Lei porta con sé una carrozzina. Dentro, un batuffolo di bimba, di un mese appena. E' seppellita sotto le copertine, non le si vede il viso.

ATTO II

SCENA: SEMPRE UFFICIO DI COLLOCAMENTO

Mossa da una sincera curiosità, cerco di allungare il collo per vedere la bimba. La figlia del mio ex.

Lei se ne accorge, e con un movimento lento e generoso, sposta volontariamente le coperte, come per per accontentare la mia curiosità: la bimba, ovviamente, è bellissima.

Ci guardiamo con complicità, la ringrazio con lo sguardo.

Improvvisamente chiamano il mio numero. E' il mio turno. Quando finisco, madre e figlia non ci sono più.

ATTO III

SCENA: LA STRADA.

Esco da quell'ufficio contenta del momento condiviso in silenzio con una semi-sconosciuta. Il sole che mi illumina il viso mi ricorda che è quasi primavera, ovvero che è quasi il mio compleanno: 30 anni. Ma il cambio di prefisso quasi non mi spaventa più.

EPILOGO

Cammino tranquilla, baciata dal sole. E convinta che anch'io un giorno avrò il mio pancione, anch'io avrò il mio bebè. E no, non sarà come una favola scritta male.