lunedì 7 marzo 2011

Poesia dei non luoghi

“Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale né storico definirà un non luogo".

Stazioni, aeroporti, o centri commerciali: secondo l’antropologo Marc Augé, sono non-luoghi per eccellenza.

I non luoghi si oppongono per natura ai luoghi antropologici (una piazza, una strada storica, un parco…): spazi che creano identità per la popolazione, che favoriscono e rappresentano materialmente le relazioni tra gli individui che vi abitano, e che conservano la memoria collettiva degli eventi passati.

Le stazioni o gli aeroporti non hanno niente di tutto ciò. Non creano identità per le persone che li frequentano (sono, di fatto, luoghi di passaggio e nulla di più); non rappresentano né favoriscono le relazioni umane (a nessuno viene in mente di trovare nuovi amici in stazione); e infine non rappresentano la memoria collettiva di nulla. Sono, in definitiva, solo zone di passaggio, di saluti affrettati, di solitudine sfrenata nonostante la folla, di isolamento: non luoghi.

Eppure, nei non-luoghi come stazioni o aeroporti crepita ogni giorno la vita di migliaia di persone, vi bruciano momenti cruciali: addii, rincontri, relazioni, inizi. Se penso a noi, faccio fatica a considerare una stazione un non luogo.

Ma forse Augé ha ragione, perché ieri, agli occhi di chi passava anche solo a pochi metri da noi, probabilmente non eravamo altro che un’immagine come un’altra, senza storia e senza suono. Ma io so che si sbagliavano.

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