lunedì 26 dicembre 2011

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Il dolore è sordo, il dolore è muto. Il dolore è sordomuto. Sordo perché ascolta solo se stesso, muto perché non ci sono parole che possano parlarne.


L'assenza dell'assenzio (Andrea G. Pincketts)

sabato 29 ottobre 2011

Promemoria #2 (pillole di disperato ottimismo)

Tú eres el resultado de ti mismo

No culpes a nadie, nunca te quejes de nada ni de nadie, porque fundamentalmente tú has hecho tu vida.

Acepta la responsabilidad de edificarte a ti mismo y el valor de acusarte en el fracaso para volver a empezar; corrigiéndote, el triunfo del verdadero hombre surge de las cenizas del error.

Nunca te quejes del ambiente o de los que te rodean, hay quienes en tu mismo ambiente supieron vencer, las circunstancias son buenas o malas según la voluntad o fortaleza de tu corazón.

Aprende a convertir toda situación difícil en un arma para luchar.

No te quejes de tu pobreza, de tu soledad o de tu suerte, enfrenta con valor y acepta que de una u otra manera, todo dependerá de ti; no te amargues con tu propio fracaso, ni se lo cargues a otro, acéptate ahora o seguirás justificándote como un niño, recuerda que cualquier momento es bueno para comenzar y que ninguno es tan terrible para claudicar.

Deja ya de engañarte, eres la causa de ti mismo, de tu necesidad, de tu dolor, de tu fracaso.

Si, tú has sido el ignorante, el irresponsable, tú, únicamente tú, nadie pudo haber sido por ti.

No olvides que la causa de tu presente es tu pasado, como la causa de tu futuro es tu presente.

Aprende de los fuertes de los audaces, imita a los enérgicos, a los vencedores, a quienes no aceptan situaciones, a quienes vencieron a pesar de todo.

Piensa menos en tus problemas y más en tu trabajo y tus problemas sin alimento morirán.

Aprende a nacer desde el dolor y a ser más grande, que el más grande de los obstáculos.

Mírate en el espejo de ti mismo.

Comienza a ser sincero contigo mismo. Reconociéndote por tu valor, por tu voluntad y por tu debilidad para justificarte.

Reconócete dentro de ti mismo, más libre y fuerte, dejarás de ser un títere de las circunstancias, porque tu mismo eres tu destino.

Y nadie puede sustituirte en la construcción de tu destino.

Levántate mira las mañanas y respira la luz del amanecer.

Tú eres parte de la fuerza de la vida

Ahora despierta, camina, lucha.

Decídete y triunfarás en la vida.

Nunca pienses en la suerte, porque la suerte es el pretexto de los fracasados.

Pablo Neruda

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Tu sei il risultato di te stesso

Non dare la colpa a nessuno, non lamentarti di niente né di nessuno, perché fondamentalmente tu hai fatto la tua vita.

Accetta la responsabilità di costruire te stesso e il valore d’incolparti nel fallimento per ricominciare da capo; correggendoti, il trionfo del vero uomo sorge dalle ceneri dell’errore.

Non lamentarti mai dell’ambiente o di quelli che ti circondano, ci sono quelli che nel tuo stesso ambiente hanno saputo vincere, le circostanze sono buone o cattive a seconda della volontà o forza del tuo cuore.

Impara a convertire tutte le situazioni difficili in un’arma per lottare.

Non lamentarti della tua povertà, della tua solitudine o del tuo destino, affronta con valore ed accetta che in un modo o nell’altro, dipenderà tutto da te; non amareggiarti con il tuo proprio fallimento, e non addebitarlo a qualcun altro. Accettati adesso o continuerai a giustificarti come un bambino. Ricorda che qualunque momento è buono per cominciare e che nessuno è tanto terribile per zoppicare.

Smetti di ingannarti, sei la causa di te stesso, della tua necessità, del tuo dolore, del tuo fallimento.

Si, tu sei stato l’ignorante, il responsabile, tu, solo tu, non è potuto essere nessuno al posto tuo.

Non dimenticarti che la causa del tuo presente è il tuo passato, come la causa del tuo futuro è il tuo presente.

Impara dai forti e dagli audaci, imita gli energici, i vincitori e coloro che non accettano le situazioni e coloro che hanno vinto nonostante tutto.

Pensa meno ai tuoi problemi e di più al tuo lavoro, e i tuoi problemi senza respiro moriranno.

Impara a nascere dal dolore e ad essere più grande del più grande degli ostacoli.

Guardati nello specchio di te stesso.

Inizia ad essere sincero con te stesso. Riconoscendoti per il tuo valore, per la tua volontà e per la tua debolezza di giustificarti.

Roconosciti dentro te stesso, più libero e forte, smetterai di essere una marionetta delle circostanze, perché tu stesso sei il tuo destino.

Alzati, guarda le mattine e respira la luce dell’alba.

Tu fai parte della forza della vita.

Adesso svegliati, cammina, lotta.

Deciditi e trionferai nella vita.

Non pensare mai alla fortuna, perché la fortuna è il pretesto dei falliti.

Pablo Neruda

venerdì 21 ottobre 2011

Los lunes al sol

C'è la convinzione -totalmente erronea- che ad essere disoccupati è come se fosse sempre domenica. In fondo non hai niente da fare, ti puoi alzare quando vuoi, puoi uscire, passeggiare, andare a correre, leggere tutto il giorno... Insomma, fare tutto quello che vuoi, senza orari da rispettare, senza stress, senza fretta, senza capi. Tu e il tuo tempo. Con il vantaggio di avere tutti i negozi aperti.

Assolutamente sbagliato. E' come se fosse sempre lunedì. Una serie infinita, atroce e massacrante di lunedì.

Perché sai che non avrai riposo finché non avrai compiuto il tuo dovere. E se quando lavori, è arrivare al venerdì, quando sei disoccupato, è trovare un lavoro. Per cui, il riposo non arriva mai.

Perché ogni giorno è un iniziare tutto da capo. Non riprendi ciò che hai lasciato il giorno prima. Se i giorni precedenti non hanno dato risultati, inizi di nuovo la ricerca. Con tutto il peso che ogni nuovo inizio comporta (e aggiungici il peso dei fallimenti precedenti).

Perché hai la continua sensazione di non aver fatto abbastanza, di non aver cercato bene, di poter fare di più. E con questo pensiero in testa, continui solitaria davanti al tuo computer a guardare pagine web, leggere consigli per trovare il lavoro perfetto, a cercare di scovare formule magiche, e non ti accorgi più dell'ora né del giorno in cui sei.

E se dovesse capitarti, come a me, di uscire trafelata un venerdì pomeriggio a fare una commissione, pronta a tornare subito a casa a continuare la ricerca, e dovessi chiederti stranita che ci fa tanta gente in giro (per poi pensare: "che stupida, per loro è normale, è venerdì!"), allora capirai anche tu come vive un disoccupato medio. In un lunedì eterno che non distingue stagioni e non sente ragioni.




"Che giorno è oggi?"
"Lunedì"

(dal film "Los lunes al sol", di Fernando León de Aranoa).

lunedì 17 ottobre 2011

The Big Bang Theory, l'elasticità and me

La Wikipedia definisce così il concetto fisico di elasticità: “l’elasticità è la proprietà di un materiale di deformarsi sotto l'azione di uno stato di sollecitazione imposto (per esempio, a causa di forze esterne applicate) ma di riacquistare poi la sua forma originale al venir meno della causa sollecitante. L'elasticità riguarda sia i materiali solidi che i fluidi.

A partire dalla configurazione naturale di riposo, l'elasticità rappresenta solo la fase iniziale del comportamento di un materiale, per un valore limitato del livello di sollecitazione. Ogni materiale presenta infatti una soglia di sollecitazioni, detta limite di elasticità, al di sopra della quale cessa di esibire un comportamento elastico e manifesta fenomeni anelastici (plasticità, rottura, ecc.). Nel caso dei materiali duttili, il limite elastico è associato alla tensione di snervamento, nel caso di materiali fragili, il limite elastico è associato alla rottura del materiale”.

Non so perché non mi piacesse la fisica al liceo, contiene grandissime verità! Cerchiamo di vedere se e come si può applicare questo concetto alle persone (un po’ stile The Big Bang Theory).



L’elasticità è la proprietà di un materiale una persona di deformarsi piegarsi sotto l'azione di uno stato di sollecitazione pressione imposto (per esempio, a causa di forze esterne applicate, come l’amore [nda]) ma di riacquistare poi la sua forma originale al venir meno della causa sollecitante dell’amore stesso. L'elasticità riguarda sia i materiali solidi che i fluidi uomini che donne.

A partire dalla configurazione naturale di riposo singlitudine, l'elasticità rappresenta solo la fase iniziale del comportamento di un materiale una persona, per un valore limitato del livello di sollecitazione pressione. Ogni materiale persona presenta infatti una soglia di sollecitazioni pressioni, detta limite di elasticità, al di sopra della quale cessa di esibire un comportamento elastico piegarsi e manifesta fenomeni anelastici una certa rigidità (plasticità, rottura, ecc. rinsavimento,sano esercizio della libertà). Nel caso dei materiali delle persone duttili, il limite elastico è associato alla tensione di snervamento, nel caso di materiali persone fragili, il limite elastico è associato alla rottura del materiale.

Da tutto ciò deduco che sono un materiale duttile (in fondo l’avevo sempre saputo) che è arrivato al limite della tensione di snervamento.

Anche se era scritto nelle leggi della fisica... mi dispiace.

giovedì 4 agosto 2011

Por todos los silencios del mundo

SAUDADE

Agarrarse el dedo con una puerta duele.
Golpearse la cara contra el piso, duele.
Torcerse el tobillo, duele.
Una bofetada, un puntapié, duelen.
Duele golpearse la cabeza con el borde de la mesa,
duele morderse la lengua, una carie y piedras en los riñones también duelen.

Pero lo que más duele es la saudade.
Saudade de un hermano que vive lejos.
Saudade de una cascada de la infancia.
Saudade del gusto de una fruta que no se encuentra más.
Saudade del papá que murió, del amigo imaginario que nunca existió...

Saudade de una ciudad.
Saudade de nosotros mismos, cuando vemos que el tiempo no nos perdona. Duelen todas estas saudades.

Pero la saudade que más duele es la saudade de quien se ama.
Saudade de la piel, del olor, de los besos. Saudade de la presencia, y hasta de la ausencia consentida.
Tú podías quedarte en la sala, y ella en el cuarto, sin verse, pero sabiéndose ahí.
Tú podías ir para el dentista y ella para la facultad, pero se sabían allí.
Tú podías pasar el día sin verla, ella el día sin verte, pero sabían del día de mañana.
Pero cuando el amor de uno acaba, o se torna menor, al otro le sobra una saudade que nadie sabe como detener.
Saudade es básicamente no saber. No saber más si ella continúa sufriendo en ambientes fríos.
No saber si él continúa sin afeitarse por causa de aquella alergia.
No saber si ella todavía usa aquella mini.
No saber si él fue a la consulta con el médico como prometió.
No saber si ella se alimentó bien últimamente por causa de esa manía de estar siempre ocupada.
Si él estuvo yendo a las clases de inglés, si aprendió a entrar en la Internet y encontrar la página del Diario Oficial.
Si ella aprendió a estacionar entre dos coches.
Si él continúa prefiriendo la cerveza oscura. Si ella continúa prefiriendo jugo de naranja.
Si él continua sonriendo con aquellos ojitos apretados...
Si ella sigue bailando de aquella forma enloquecedora... Si él continua cantando tan bien.
Si ella continua detestando Mc Donald's.
Si él continua amando. Si ella sigue llorando hasta en las comidas. Saudade realmente es no saber!

No saber que hacer con los días que son más largos, no saber como encontrar tareas que detengan el pensamiento,
no saber como frenar las lágrimas al escuchar esa música, no saber como vencer el dolor de un silencio...

Saudade es no querer saber si ella está con otro, y al mismo tiempo querer. Es no saber si él está feliz, y al mismo tiempo preguntar a todos los amigos por eso...

Es no querer saber si él está más flaco, si ella está más linda.
Saudade es nunca más saber de quien se ama, y mismo así doler.

Saudade es esto que sentí mientras estaba escribiendo y lo que tú, probablemente, estés sintiendo ahora después de leer...
"En alguna otra vida, debemos haber hecho algo muy grave para sentir tanta saudade...".

Por Miguel Falabella

sabato 25 giugno 2011

Di fantasmi e ingiustizie

Essere vittima di una comparazione non piace a nessuno. Ma attenzione: non tutte le comparazioni sono uguali. Incredibilmente, alcune sono più rompine di altre.

Immagina di essere uno dei termini di paragone, ovviamente contro la tua volontà. Ora, immagina che l'altro termine sia un fantasma, una figura mistificata sottratta ad un passato miticizzato e atemporale. Qual è il risultato? Te lo dico io: una battaglia persa. E tanta amarezza.

Nella mia storia personale recente, è la moda di questa primavera-estate, a quanto pare. C'è chi ti compara con il fantasma della persona che sei stata. E poi c'è chi che ti mette in competizione con il fantasma di qualcun altro, qualcuno del suo passato.

In entrambi i casi, è un'ingiustizia: non è una lotta ad armi pari. Il fantasma -che sia il fantasma di te o quello di un'altra persona- finisce per vincere sempre. Perché del passato ricordiamo solo la parte migliore: chi si ricorda più dei litigi, dei difetti, delle penurie, degli errori, delle lacune?

Contro un fantasma del passato non puoi fare niente: sarà sempre più di te. Puoi smuovere montagne, essere candidata al premio Nobel per la Pazienza, vincere il premio di crocerossina dell'anno o essere la reincarnazione di Buddha, e la persona che hai di fianco non lo vedrà.

Per tanto, a queste persone, dico lo stesso: che cosa li può aiutare? Oltre a un bell'arrivederci da parte della sottoscritta, consiglio loro che il passato possa restare come passato, onorato dal nostro sguardo benevolo e con il pieno rispetto per quello che si è vissuto, per come si è vissuto e per quelli che l'hanno vissuto.

E non guasterebbe che guardassero al presente con un pizzico di allegria e -soprattutto- molta gratitudine.

Quanto sono Buddha oggi.

sabato 28 maggio 2011

Moving on

Vestiti, scarpe, asciugamani, computer, poster, fotografie, coperte, lenzuola, padelle, cd, film, libri. Un travestimento di carnevale che ti fa scappare un sorriso e una lacrima. Regali che non ricordavi più di aver ricevuto.

Oggetti di ogni tipo che non sanno fare altro che ricordarti la tua insopportabile sindrome di Diogene (perché mai non potrò evitare di accumulare cose su cose?)... ma che d'altro canto ti catapultano negli ultimi cinque anni della tua vita, nelle persone che l'hanno popolata, nelle esperienze vissute.

Questo è un trasloco. E io odio i traslochi. Non solo perché ti obbligano a disfarti di cose che non hai usato per anni e che -sicuramente- ti serviranno non appena ti trasferirai nella casa nuova (la legge di Murphy non sbaglia mai), ma soprattutto perché ti costringono a guardare indietro, a guardarti dentro e a fare i conti con la nostalgia.


Ciononostante, preferisco pensare alla parte positiva, e guardare il tutto come un nuovo inizio. Era così tanto tempo che mi ero 'accomodata' in questa casa e in questo modo di vita che ricominciare tutto da capo sarà una vera e propria scoperta.
Come vedere il mare per la prima volta.

giovedì 5 maggio 2011

PROMEMORIA

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza.

Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano.

Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

A. Gramsci

mercoledì 13 aprile 2011

Punti di vista


Non ho fallito. Ho solamente tovato 10.000 modi che non hanno funzionato.
Thomas Edison.


martedì 8 marzo 2011

Buona festa della donna


"Quando ho detto che non volevo avere figli, mi hanno dato addosso...".
"E quando ho detto che ne avrei avuto uno mi hanno licenziata dal lavoro".

E mi chiedono ancora perché ho la crisi dei 30 anni.
Buona festa della donna.
E buon compleanno a me.

lunedì 7 marzo 2011

Poesia dei non luoghi

“Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale né storico definirà un non luogo".

Stazioni, aeroporti, o centri commerciali: secondo l’antropologo Marc Augé, sono non-luoghi per eccellenza.

I non luoghi si oppongono per natura ai luoghi antropologici (una piazza, una strada storica, un parco…): spazi che creano identità per la popolazione, che favoriscono e rappresentano materialmente le relazioni tra gli individui che vi abitano, e che conservano la memoria collettiva degli eventi passati.

Le stazioni o gli aeroporti non hanno niente di tutto ciò. Non creano identità per le persone che li frequentano (sono, di fatto, luoghi di passaggio e nulla di più); non rappresentano né favoriscono le relazioni umane (a nessuno viene in mente di trovare nuovi amici in stazione); e infine non rappresentano la memoria collettiva di nulla. Sono, in definitiva, solo zone di passaggio, di saluti affrettati, di solitudine sfrenata nonostante la folla, di isolamento: non luoghi.

Eppure, nei non-luoghi come stazioni o aeroporti crepita ogni giorno la vita di migliaia di persone, vi bruciano momenti cruciali: addii, rincontri, relazioni, inizi. Se penso a noi, faccio fatica a considerare una stazione un non luogo.

Ma forse Augé ha ragione, perché ieri, agli occhi di chi passava anche solo a pochi metri da noi, probabilmente non eravamo altro che un’immagine come un’altra, senza storia e senza suono. Ma io so che si sbagliavano.

giovedì 3 marzo 2011

La descrizione di un attimo

PROLOGO

Non ci conosciamo personalmente, ma non ce n'è bisogno: sappiamo perfettamente chi siamo. Lei, l'attuale: alta, bionda, americana (con tutto quel che comporta), madre. Io, la ex: bassina, di un comunissimo castano, italiana (con tutto quel che comporta), con l'istinto materno atrofiado.

ATTO I

SCENA: UFFICIO DI COLLOCAMENTO (di 'sti tempi non potevo immaginare scenario più azzeccato...).

Ci incontriamo per caso. Entrambe stacchiamo il biglietto per prenotare il nostro rispettivo turno. Ci guardiamo, ci scrutiamo, ci riconosciamo, senza salutarci (ufficialmente non ci siamo mai presentate, e noblesse oblige). Ma non ce n'è bisogno. Lei porta con sé una carrozzina. Dentro, un batuffolo di bimba, di un mese appena. E' seppellita sotto le copertine, non le si vede il viso.

ATTO II

SCENA: SEMPRE UFFICIO DI COLLOCAMENTO

Mossa da una sincera curiosità, cerco di allungare il collo per vedere la bimba. La figlia del mio ex.

Lei se ne accorge, e con un movimento lento e generoso, sposta volontariamente le coperte, come per per accontentare la mia curiosità: la bimba, ovviamente, è bellissima.

Ci guardiamo con complicità, la ringrazio con lo sguardo.

Improvvisamente chiamano il mio numero. E' il mio turno. Quando finisco, madre e figlia non ci sono più.

ATTO III

SCENA: LA STRADA.

Esco da quell'ufficio contenta del momento condiviso in silenzio con una semi-sconosciuta. Il sole che mi illumina il viso mi ricorda che è quasi primavera, ovvero che è quasi il mio compleanno: 30 anni. Ma il cambio di prefisso quasi non mi spaventa più.

EPILOGO

Cammino tranquilla, baciata dal sole. E convinta che anch'io un giorno avrò il mio pancione, anch'io avrò il mio bebè. E no, non sarà come una favola scritta male.


lunedì 7 febbraio 2011

Filosofia della quotidianità

L'appendiabiti -marca Lidl- che è nel mio armadio mi fa alterare come pochi ci sono riusciti nell'arco della mia vita.

Tra alti e bassi, durava ormai da tre anni, da quando sono venuta ad abitare nella mia attuale dimora. La nostra è stata una storia tormentata e stupenda allo stesso tempo: a volte gliela lasciavo vincere, fingendo che non mi importasse la sua odiosa mania di pendere su un lato, facendo toccare la metà dei vestiti a terra; altre volte mi accontentava lui, per qualche strana ragione si decideva a non far saltare gli arzigogolati meccanismi che mi inventavo per mantenerlo dritto, e per qualche tempo smetteva di pendere.

Forse intuiva che la mia pazienza stava per arrivare al limite, e per non essere buttato via si degnava di compiere la sua funzione. O forse era semplicemente un caso che funzionasse.

Però a un certo punto sembrava non avere nessuna importanza quel che mi inventavo per farlo stare bene in piedi, o quanto mi impegnassi, o quanto gli parlassi (sì, non si scarta nessuna tecnica). Sembrava aver deciso che pendere era il suo cammino. E non c'era niente che reggesse: non funzionavano più i bastoncini, non funzionava lo spago, non funzionava più il nastro adesivo... insomma, nada de nada.

Davanti all'evidenza dei fatti, e dopo innumerevoli tentativi, finalmente sono arrivata al punto di rottura (menomale che esiste sempre) e ho deciso di lasciarlo pendere. Rimarrà nel mio armadio (anche se è del Lidl, mi ci sono affezionata), ma non cercherò più di aggiustarlo.

E lo faccio con il cuore tranquillo, perché so di aver fatto tutto il possibile perché funzionasse, ma con l'amara constatazione che alla vita manca sempre qualcosa per essere perfetta.