venerdì 30 luglio 2010

Voglio una panchina

Più di una volta, più di una persona, più o meno gentilmente o scocciata, mi ha chiesto che cosa mai cerco in un uomo. A quanto pare la mia singlitudine preoccupa amici e parenti.

Sono passati dai classici: "Vuoi cose che non esistono", o "Non sai neanche tu che cosa cerchi", al ben più folklorico: "Mo' le jamm a fabbricà a la furnace de Femminella" (tradotto: se nel mondo reale non esiste nessuno di tuo gradimento, incaricheremo uno stampino del modello di uomo da te prescelto a Femminella, titolare di una famosa fornace di Chieti e lo faremo su misura per te). Quest'ultima frase in particolare è una vita che la sento dire, giacché la fortunata autrice è mia madre... anche se non ho mai capito chi cavolo è 'sta portentosa Femminella.

Insomma, me l'hanno chiesto così tante volte, che alla fine me lo sono chiesta anch'io. E la risposta è stata sconcertante: no answer. Il vuoto. Il nulla.

Fino a ieri sera, quando, tornando a casa, ho incrociato una coppia di anziani che si godevano il fresco su una panchina, mano nella mano. Premetto che ero sotto gli effetti nefasti della sindrome premestruale, che altera le percezioni. Però guardandoli, la prima cosa che ho pensato è che dovevano averne passate veramente di tutti i colori: nell'arco di una vita chissà quante liti, quanti dispiaceri, forse pure varie corna -in caso, spero bilaterali- o qualche separazione.

Eppure, lui la guardava come se lei fosse l'ultima cosa bella rimasta al mondo. E finalmente ho capito.

Voglio una panchina.

lunedì 26 luglio 2010

Lunedì

Arrivi al lavoro trafelata con i consueti 20 minuti di ritardo, lavori senza sosta fino al pomeriggio, ti precipiti a fare qualche commissione urgente, fai la spesa per le prossime due settimane, parli al telefono fino a prosciugarti…

Ti fermi un attimo. E’ il primo di tutta la giornata.

Il sole fuori è ancora splendido, fa un caldo tremendo, decisamente è arrivata l’estate.

Ciononostante, un’improvvisa tristezza ti invade, quella repentina sensazione che ti manchi la terra sotto i piedi. Il motivo si nasconde nelle viscere dell’anima, sai dov’è, ma per un’irriducibile codardia non lo vuoi scovare.

Finalmente dai una risposta all’irrimediabile malinconia, anche se sai perfettamente che non è la verità: è lunedì.

sabato 17 luglio 2010

Volver

I ritorni sono sempre un po' ambigui: tu non sei più la stessa, i posti sono sempre quelli, sì, eppure sono cambiati, le persone magari sembrano non cambiare mai, ma sai che non è così (in fondo, se il tempo ti è passato sopra, trasformandoti, perchè non avrebbe dovuto fare lo stesso con gli altri?).

Non nego che in passato la nostalgia mi ha giocato degli scherzetti. Ma solo in passato: quando non sapevo ancora che il tempo inganna, che la mente opacizza i cattivi ricordi ed esalta quelli buoni, che la memoria, in realtà, è un costrutto positivizzato e che grazie a questo artificio riusciamo a sopportare il passato.

"Al lugar donde has sido feliz no debieras tratar de volver", dice il grande Joaquín Sabina. Ovvero, non cercare mai di tornare nel posto dove sei stato felice. Perchè tu non sarai più lo stesso, il luogo nemmeno, e se vai nella speranza di ritrovare quello che fu, potrai solo restarne deluso.

Ti sbagli, Sabina. Ora so come funziona, dai miei ritorni non mi aspetto più di ricreare il passato, e il meccanismo insidioso della nostalgia non mi inganna più.

Qualche anno in più servirà pure a qualcosa.

lunedì 12 luglio 2010

La strategia del terrore

“Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quello che lascia, ma non sa quello che trova”. Saggezza popolare docet. Mmm… Sì e no. Questo detto non mi ha mai convinta più di tanto.

Soprattutto in contesti di crisi (economica, emotiva, d'identità, vale per tutte le crisi insomma), i messaggi che il mondo e le persone vicine mi mandano a volte sembrano un’enorme cospirazione del terrore: “Non farlo, non buttarti, non andare, non osare”. Fino ad arrivare al colorito: "Statt nghi si pochi guaje" (Pargola, resta con i pochi guai che hai, ndt). Dilemma dei dilemmi: saltare o non saltare?

Davanti a tanta –forse saggia- prudenza, preferisco di gran lunga ricordare una frase che mi disse tempo fa un caro amico: “No puedes saber si va a salir bien hasta que no des el paso”. Ovvero: “Non puoi sapere se andrà bene finché non lo farai”.

Se c’è una cosa che ho sempre saputo è che non sopporto vivere nel dubbio. E se c'è una cosa che sopporto ancora meno che vivere nel dubbio è l’idea di rendermi volontariamente vittima di una strategia del terrore che ogni capo del Governo di ogni tempo conosce (da Cossiga a Bush o al Berlusca): creare un clima di paura per costringere la massa a continuare nella mediocrità.

Non provare non solo non sarebbe da me. Non è da persone libere.

Inizi...


Da sempre per me gli inizi -di qualunque cosa- sono stati infinitamente più entusiasmanti delle fini -di qualunque cosa. Hanno un non so che di magico.

Il perchè non è difficile da trovare: la felicità risiede nella sala d'attesa della felicità stessa. Chiunque abbia almeno un po' di esperienza di vita ne è cosciente, però se qualche scettico voleva una conferma scientifica, ci pensa il buon Eduard Punset a dimostrarlo.

Iniziare o rincorrere qualcosa -qualunque cosa- è di gran lunga più piacevole che raggiungerlo, si sa. Non solo perchè la realtà è quasi sempre più deludente di quel che ci si era immaginati, ma probabilmente anche perchè è nella natura stessa dell'essere umano cercare continuamente sfide nuove. Sarà per il bisogno di sentirsi vivi, chissà.

Tutte queste pippe semplicemente per dire che lo stesso vale per questo umile blog, a cui non credo che potrò dedicare moltissimo tempo, ma mi entusiamo anche solo all'idea di iniziarlo...