
Soprattutto in contesti di crisi (economica, emotiva, d'identità, vale per tutte le crisi insomma), i messaggi che il mondo e le persone vicine mi mandano a volte sembrano un’enorme cospirazione del terrore: “Non farlo, non buttarti, non andare, non osare”. Fino ad arrivare al colorito: "Statt nghi si pochi guaje" (Pargola, resta con i pochi guai che hai, ndt). Dilemma dei dilemmi: saltare o non saltare?
Davanti a tanta –forse saggia- prudenza, preferisco di gran lunga ricordare una frase che mi disse tempo fa un caro amico: “No puedes saber si va a salir bien hasta que no des el paso”. Ovvero: “Non puoi sapere se andrà bene finché non lo farai”.
Se c’è una cosa che ho sempre saputo è che non sopporto vivere nel dubbio. E se c'è una cosa che sopporto ancora meno che vivere nel dubbio è l’idea di rendermi volontariamente vittima di una strategia del terrore che ogni capo del Governo di ogni tempo conosce (da Cossiga a Bush o al Berlusca): creare un clima di paura per costringere la massa a continuare nella mediocrità.
Non provare non solo non sarebbe da me. Non è da persone libere.
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