lunedì 12 luglio 2010

La strategia del terrore

“Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quello che lascia, ma non sa quello che trova”. Saggezza popolare docet. Mmm… Sì e no. Questo detto non mi ha mai convinta più di tanto.

Soprattutto in contesti di crisi (economica, emotiva, d'identità, vale per tutte le crisi insomma), i messaggi che il mondo e le persone vicine mi mandano a volte sembrano un’enorme cospirazione del terrore: “Non farlo, non buttarti, non andare, non osare”. Fino ad arrivare al colorito: "Statt nghi si pochi guaje" (Pargola, resta con i pochi guai che hai, ndt). Dilemma dei dilemmi: saltare o non saltare?

Davanti a tanta –forse saggia- prudenza, preferisco di gran lunga ricordare una frase che mi disse tempo fa un caro amico: “No puedes saber si va a salir bien hasta que no des el paso”. Ovvero: “Non puoi sapere se andrà bene finché non lo farai”.

Se c’è una cosa che ho sempre saputo è che non sopporto vivere nel dubbio. E se c'è una cosa che sopporto ancora meno che vivere nel dubbio è l’idea di rendermi volontariamente vittima di una strategia del terrore che ogni capo del Governo di ogni tempo conosce (da Cossiga a Bush o al Berlusca): creare un clima di paura per costringere la massa a continuare nella mediocrità.

Non provare non solo non sarebbe da me. Non è da persone libere.

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